Ordinanza n. 5 del 2002

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ORDINANZA N. 5

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 26, commi 4 e 5, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), promossi con ordinanze emesse il 24 maggio 2000 e il 14 giugno 2000 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, iscritte al n. 673 del registro ordinanze 2000 e al n. 101 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, n. 46 dell'anno 2000 e n. 7 dell'anno 2001.

Visto l'atto di costituzione di Laura Liverani, nonchè gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2001 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto che con l’ordinanza iscritta al n. 673 r.o. del 2000, pronunciata il 24 maggio 2000 e pervenuta alla Corte il 4 ottobre 2000, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato, secondo il tenore del dispositivo, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, commi 4 e 5, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), per contrasto con gli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, mentre nella motivazione ha prospettato e argomentato la questione con riferimento all’art. 1, comma 5, della legge 10 ottobre 1996, n. 525 (Norme in materia di personale amministrativo del Ministero di grazia e giustizia e delle magistrature speciali);

che l’ordinanza é stata resa nel corso di un giudizio introdotto da oltre duemila dipendenti del Ministero della Giustizia, i quali - premesso di avere diritto all’indennità giudiziaria istituita dalla legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), in forza dell’estensione operata dalla legge 22 giugno 1988, n. 221 (Provvedimenti a favore del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie); di avere inoltre ottenuto dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio il riconoscimento sulle relative somme della rivalutazione triennale prevista da tale legge e la conseguente condanna dell’amministrazione a corrispondere quanto dovuto con interessi e rivalutazione; e di essere infine soggetti all’applicazione della sopravvenuta legge n. 525 del 1996, che ha escluso, all’art. 1, comma 5, la corresponsione di interessi e rivalutazione sulle somme stesse, anche se riconosciute con sentenza passata in giudicato - chiedevano la condanna del Ministero alla corresponsione di tali accessori, prospettando l’illegittimità costituzionale del citato art. 1, comma 5;

che - secondo quanto riferisce il giudice rimettente - i ricorrenti, nel motivare su quest’ultimo punto, richiamavano l’ordinanza con cui lo stesso T.a.r. Lazio aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, commi 4 e 5, della legge n. 448 del 1998 (che aveva negato la corresponsione degli accessori sulle somme dovute per effetto del reinquadramento di cui alla legge 11 luglio 1980, n. 312, sul nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato), adducendo trattarsi di questione assolutamente analoga;

che, in conseguenza, ad avviso del rimettente, la questione di legittimità costituzionale sollevata dai ricorrenti dovrebbe ritenersi non manifestamente infondata <<anche in adesione alle argomentazioni poste a base>> della suddetta ordinanza relativa all’art. 26 della legge n. 448 del 1998;

che la motivazione dell’ordinanza in epigrafe si conclude affermando che il giudizio deve essere sospeso <<in attesa della soluzione da parte della Corte Costituzionale della sollevata questione di legittimità costituzionale della norma dell’art. 1, comma 5 della legge n. 525/96 in relazione agli artt. 3, 36, primo comma e 97, primo comma, Cost. >>, mentre il suo dispositivo, dopo avere ritenuto rilevante e non manifestamente infondata <<la questione, come sopra indicata>>, ordina la trasmissione del fascicolo alla Corte <<per la soluzione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, commi 4 e 5, della legge n. 448 del 1998 per contrasto con gli art. 3, 36 e 97 Cost.>>;

che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, depositando memoria, nella quale, osservato che le disposizioni impugnate sarebbero l’art. 1, comma 5, della legge n. 525 del 1996 e l’art. 26, commi 4 e 5, della legge n. 448 del 1998, rileva l’infondatezza della questione proposta, riferendola al citato art. 26;

che si sono costituiti i ricorrenti nel giudizio a quo, depositando memoria e sostenendo che la questione proposta dal T.a.r. - come si evincerebbe dalla parte motiva dell’ordinanza - concernerebbe l’art. 1, comma 5, della legge n. 525 del 1996, essendo frutto di mero errore materiale l’indicazione nel dispositivo, come norma impugnata, dell’art. 26, commi 4 e 5, della legge n. 448 del 1998, e che così individuata essa sarebbe fondata;

che, nell’imminenza della camera di consiglio, le parti ricorrenti del giudizio a quo hanno depositato memoria illustrativa, insistendo per l’accoglimento della questione;

che con l’ordinanza iscritta al n. 101 r.o. del 2001, pronunciata il 14 giugno 2000 e pervenuta alla Corte il 24 gennaio 2001, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, commi 4 e 5, della legge n. 448 del 1998;

che l’ordinanza é stata resa nel corso di un giudizio introdotto da alcuni dipendenti dell’Avvocatura generale dello Stato nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri, per ottenere il riconoscimento di interessi e rivalutazione monetaria su quanto loro corrisposto per effetto della legge n. 312 del 1980, che (modificando l’ordinamento dei dipendenti civili dello Stato) ha previsto un sistema fondato sulle qualifiche professionali;

che in pendenza di tale giudizio é intervenuto l’art. 26, commi 4 e 5, della legge n. 448 del 1998, che, definendosi norma di interpretazione autentica, ha stabilito che le somme corrisposte per effetto dell’inquadramento nelle nuove qualifiche professionali non danno luogo ad interessi e rivalutazione monetaria;

che il rimettente - il quale aveva già sollevato la stessa questione di legittimità costituzionale con altra ordinanza - <<ritiene di aderire alle argomentazioni poste a base>> di essa, ravvisando contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost. per lesione del principio di parità di trattamento tra cittadini in relazione <<alla particolare fattispecie relativa alla corresponsione degli interessi e della rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro, qualora liquidi ed esigibili>>; con l’art. 36 Cost. per lesione del principio di proporzionalità tra retribuzione e prestazione lavorativa, in ragione della natura retributiva delle somme dovute per l’inquadramento; e con l’art. 97 Cost., in quanto la norma consentirebbe alla pubblica amministrazione di eludere l’obbligo di ristorare i dipendenti del ritardo nel pagamento;

che anche in questo giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, depositando memoria, con la quale ha fatto integrale rinvio alle difese svolte nel giudizio introdotto dalla precedente ordinanza ed ha sostenuto l’inammissibilità e comunque la manifesta infondatezza della questione.

Considerato che - poichè tanto l’ordinanza n. 673 del 2000 (seppure soltanto nel dispositivo) quanto l’ordinanza n. 101 del 2001 denunciano l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, commi 4 e 5, della legge n. 448 del 1998 - i due giudizi possono essere riuniti;

che la questione proposta dall'ordinanza n. 673 del 2000 é manifestamente inammissibile;

che infatti tale ordinanza, mentre nel dispositivo censura espressamente l’art. 26, commi 4 e 5, della legge n. 448 del 1998, nella motivazione riferisce invece la questione di legittimità costituzionale all’art. 1 comma 5, della legge n. 525 del 1996 e considera la norma menzionata in dispositivo soltanto come oggetto di una (diversa) questione di costituzionalità sollevata dallo stesso giudice con altra ordinanza, la cui motivazione sarebbe idonea a sostenere la questione relativa al citato art. 1, comma 5;

che il radicale contrasto fra le due parti del provvedimento non può essere superato privilegiando l’una rispetto all’altra, in quanto nella struttura dell’ordinanza di rimessione, come in ogni ordinanza, la motivazione ed il dispositivo assolvono a distinte e specifiche funzioni, mirando l’una ad indicare le ragioni per cui la questione di legittimità costituzionale sollevata in via incidentale é ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, ed il secondo ad individuare formalmente l’oggetto della questione in modo corrispondente a quelle ragioni;

che pertanto l’ordinanza, in violazione del principio di autosufficienza del provvedimento di rimessione, é affetta da un radicale difetto di motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza della questione come individuata in dispositivo, con conseguente manifesta inammissibilità;

che la questione sollevata dall’ordinanza n. 101 del 2001 é manifestamente inammissibile, in quanto la norma da essa denunciata é stata dichiarata illegittima con la sentenza di questa Corte n. 136 del 2001, onde non é più in vigore.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, commi 4 e 5, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), sollevata, rispettivamente, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione ed in riferimento agli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2002.